Fino a qualche anno fa la separazione era riconosciuta tra gli psicologi
come evento paranormativo.
Nel ciclo vitale normale dell’individuo e della famiglia lo psicologo chiama
eventi paranormativi quelli che in modo del tutto inaspettato interferiscono
con il normale funzionamento familiare e che richiedono una riorganizzazione
del sistema familiare.
Allo stato attuale delle cose, e in questo senso facciamo riferimento ai
dati Istat appena pubblicati, la separazione è una possibilità più che
un’eventualità: i dati resi noti a giugno del 2009 rilevano nel 2007 oltre
81.000 separazioni in una curva che è costantemente in crescita (con oltre
100.000 figli coinvolti, con affido condiviso nel 73% dei casi, nel 26% dei
casi affidati alla madre).
Questo ha significato una incidenza delle separazioni sulle unioni che si
muove con decisione verso il raggiungimento del rapporto di un terzo.
Così, se un matrimonio su tre finisce, il considerare la separazione come
una cosa inaspettata è possibile solo a livello personale e non su un piano
sociale.
Ogni psicologo o psicoterapeuta sa che al momento della separazione spetta
la palma come momento più stressante che può verificarsi nella vita di una
persona.
Lo psicologo sa che l’elevato livello di stress si raggiunge per la
concomitante crisi dei molteplici livelli implicati e che ciascun livello
può richiedere attenzione nel lavoro terapeutico, ad esempio:
- Il primo di questi è la conflittualità coniugale.
Per quanto non sia una regola (non è detto che una relazione matrimoniale
debba concludersi con una rottura deflagrante) possiamo comunque rilevare la
conflittualità tra i coniugi che si separano in modo tanto frequente da
rappresentare una vera e propria costante.
A volte la separazione è generata proprio da una escalation di aggressività
che vede i coniugi reagire alle azioni aggressive dell’altro con altrettanta
rabbia fino a ritrovarsi a far scoppiare la loro relazione (come nel film La
guerra dei Roses).
Altre volte, invece, la rabbia e il conflitto si configurano come la
reazione del coniuge abbandonato che, impotente all’azione unilaterale
dell’altro, non riesce a fare altro che attaccarlo.
Infine, il conflitto può essere uno dei modi che, chi decide di interrompere
una relazione, usa per farla cessare (consapevolmente, come per dire “non
vado via da te ma dal rapporto che non funziona”; o inconsapevolmente,
riversando sull’altro la rabbia per l’insuccesso della relazione).
- Il secondo livello fa riferimento ai sensi di colpa e sentimenti di
impotenza per il progetto che va in fumo.
Un legame, anche il più breve, nei soggetti che lo creano apre spazi di
sogno e progettualità, aspettativa e desiderio.
Smettere di sognare e di desiderare equivale a rinunciare ad una parte
importante di sé mentre ci si risveglia sotto una doccia gelata: l’amore è
finito, i nostri sogni si sono infranti e noi non siamo riusciti a farci
niente o, in alcuni casi, addirittura con i nostri comportamenti ne siamo
stati la causa (o riteniamo di esserlo stati).
- Un altro livello è rappresentato dalle difficoltà pratiche e
organizzative.
“E ora come si fa?” è una domanda che appare spesso nella riorganizzazione.
Dove vivrò io? E i figli? – si chiede chi si separa – Chi farà le cose che
prima faceva l’altro? Come farò a fare tutto da solo/a? Ci sarà qualcuno ad
aiutarmi? Ce la farò? Come si fa con i soldi?
- Anche l’incontro con le Istituzioni legali e con gli attori della legge
(giudici, avvocati, CTP, CTU …) si presenta come ulteriore momento critico.
Volenti o nolenti tutti valutano, giudicano, attaccano e reagiscono,
creando, anche involontariamente o a “fin di bene” una quota di tensione.
- La rottura della maglia della rete sociale di riferimento è una delle
componenti più difficili da gestire.
Rompere una relazione può significare vedere comparire una grande
polarizzazione nei rapporti con amici e parenti che finiscono per schierarsi
dall’una o dall’altra parte.
Accade così che si finisca con il rompere non solo con il coniuge ma con una
parte della famiglia e degli amici.
- Infine, ma non meno importante, diventa fondamentale far fronte alle
difficoltà che possono intervenire nei figli, più o meno grandi, che si
trovano a dover accogliere, accettare ed elaborare un cambiamento che spesso
si muove parallelamente su tutti i livelli fin ora esposti.
L’inevitabile responsabilità che ogni genitore, separato o no, ha rispetto
ai propri figli è una sfida così complicata che non di rado molti genitori
preferiscono rimandare il momento della separazione a quando i figli saranno
più grandi e in grado di comprendere ciò che accade (o almeno in grado di
utilizzare qualche capacità più adulta per affrontare le varie difficoltà)
In questo quadro il tempo sembra volare quando se ne ha bisogno per
occuparsi di tutte le cose da fare e non passare mai quando ci si sente soli
e in difficoltà, ed il disagio finisce per ricadere anche su altri aspetti
per cui può calare il piacere e la motivazione a fare le cose che ci
piacciono e ci ritroviamo a fare i conti con difficoltà a lavoro e in altri
campi importanti.
Il dottor
Francesco D'Onghia e la
dottoressa
Claudia Scarpati
sono entrambi
psicologi e psicoterapeuti, laureati presso la Facoltà di Psicologia
dell'Università "La Sapienza" di Roma ed iscritti all'Ordine degli
Psicologi della regione Lazio (Roma).
Esercitano a Roma, presso
lo studio di Psicologia e Psicoterapia "EmotivaMente",
sito in Via Montagne Rocciose, 44
(Eur
Laurentina Laghetto Aeronautica Europa).
Puoi prendere un appuntamento presso lo Studio di Psicologia e Psicoterapia "EmotivaMente" di Roma
telefonando ai numeri:
oppure scrivendo a
[email protected] (D.ssa Claudia Scarpati)
[email protected] (Dott. Francesco D'Onghia)
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